“Nel basso Tavoliere, la mafia cerignolana, identificabile soprattutto con i clan Di Tommaso e Piarulli, conferma il forte legame con il territorio, cosa che le consente di essere un punto di riferimento anche per altri sodalizi, oltre che anello di congiunzione tra fenomeni criminali diversi, come i clan foggiani e baresi ed i gruppi della criminalità andriese e bitontina”. Esordisce così, la relazione della Dia (secondo semestre 2019) nel capitolo dedicato ai clan cerignolani.
“Emblematica, al riguardo, l’operazione ‘Nemesi’ (15 novembre 2019) che ha messo in luce come un esponente di spicco del clan Piarulli fungesse da canale di approvvigionamento di sostanze stupefacenti per i clan D’Abramo e Sforza, legati al sodalizio Parisi-Palermiti di Bari, operanti ad Altamura”.
Per la Dia, “la mafia cerignolana ha sviluppato nel tempo un modus operandi sempre più sofisticato, verosimilmente favorito dall’esistenza di un organo decisionale condiviso e da ingenti disponibilità di mezzi e risorse finanziarie, che le hanno permesso di infiltrarsi in importanti segmenti economici su tutto il territorio nazionale, dimostrando grande capacità di diversificazione delle attività criminali e di riciclaggio dei capitali illeciti. In particolare, il comparto agroalimentare della zona di Cerignola risulta uno dei settori più vulnerabili. Ciò trova riscontro, tra l’altro, nell’esecuzione, il 5 novembre 2019, di un provvedimento di prevenzione (amministrazione giudiziaria) a carico di un’azienda agricola. Il provvedimento scaturisce da risultanze investigative che hanno dimostrato come dall’esercizio dell’impresa (già oggetto d’interdittiva antimafia del prefetto di Foggia adottata nel mese di febbraio del 2019) siano derivati sostanziali vantaggi economici, funzionali e organizzativi in favore dello zio del titolare dell’azienda, reale proprietario dei beni, inserito nel gruppo Piarulli-Ferraro di Cerignola, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Inoltre, il 22 luglio 2019, il gup presso il Tribunale di Ravenna, nell’ambito del processo ‘Malavigna’ (scaturito da un’indagine della DIA del dicembre 2017) ha emesso condanne per oltre 32 anni di reclusione nei confronti dei sette imputati, ritenuti responsabili di associazione per delinquere, frode fiscale, riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori. Il gruppo era contiguo ai cerignolani Piarulli-Ferraro, tutti già colpiti da misure cautelari personali e dal sequestro di beni per un valore di oltre 20 milioni di euro”.
Secondo gli investigatori Dia, “la trasversalità dei settori interessati dall’infiltrazione mafiosa ha trovato un importante riscontro anche nelle motivazioni del provvedimento alla base dello scioglimento del consiglio comunale di Cerignola, deliberato con DPR del 14 ottobre 2019, e nelle interdittive antimafia che ne sono conseguite”.
I soliti noti nei 5 Reali Siti
Spostandosi nell’area tra Foggia e Cerignola, ecco i “reali siti”. Stando a quanto riportato nella relazione, in quell’area “permangono i gruppi Gaeta e Russo ad Orta Nova e Masciavè a Stornara, tutti collegati alla mafia cerignolana e a quella foggiana. Un ruolo strategico nei macro-equilibri della provincia potrebbe essere rivestito proprio dal gruppo Gaeta, da sempre legato alla batteria foggiana Moretti-Pellegrino-Lanza”.
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